“Il flusso si interrompe”

“Se il flusso si interrompe, rallenta o, peggio ancora, viene sospeso, si va incontro a una crisi del capitalismo in cui la vita quotidiana non può più proseguire nella maniera in cui siamo abituati”. È da questa frase di apertura de L’enigma del capitale di David Harvey (Feltrinelli, 2011) che trae ispirazione il singolo tratto dall’album de il castello delle uova il cui titolo, in omaggio al lucido volume di Harvey, è proprio L’enigma del capitale.

La narrazione de Il flusso si interrompe ha inizio con un frammento dei Kitchen Debates del 24 luglio del 1959, recitato da un ospite di eccezione, David Konstan, professore emerito di Classics alla New York University. Il discorso di Nixon opera qui come una sorta di ‘archeologia della crisi’: il Presidente degli Stati Uniti d’America vanta le lavatrici, le lavastoviglie, le automobili, i supermercati stracolmi di merci, i dolciumi, i rossetti, i tacchi a spillo, le case prefabbricate a prezzi accessibili. È – è stato – il sogno americano del lusso per tutti e del consumo senza limiti; un sogno che oggi, per effetto della tragica ironia della storia, si è mutato in un incubo.

Marsala (città natale di quattro dei cinque membri del gruppo) si impone, alla fine del brano, come epicentro di un’apocalisse varia e diffusa. In greco, il verbo apokalyptô significa ‘svelo’; e la Marsala dell’11 maggio del 1943, devastata dal bombardamento alleato che ha provocato quasi 1500 morti in una sola notte, diventa il teatro simbolico della scoperta delle diseguaglianze sociali, della schiavitù del lavoro, del disinganno; un luogo metaforico che, appunto, ‘svela’ e permette di decifrare – attraverso il ricordo delle sue strade devastate e delle sue macerie – il senso profondo della crisi globale – e dell’incubo – che ha il suo culmine nella pandemia, ma che ha inizio molto prima.

NOTA DI REGIA (di Vito Foderà)

“Dopo 3 secoli di costante modellazione del mondo operata dal capitalismo, che forma ha assunto la realtà? Ai nostri occhi, ormai, quella che vediamo è l’unica forma, data e immutabile. La forma che permette al flusso del capitale di scorrere, fluire, circolare. Finché non si interrompe. A quel punto la realtà si deforma, si sforma, il sistema si riforma. Per assumere una nuova forma, quella più funzionale al capitale e alle nostre vite su di esso e da esso plasmate.

Ma se avessimo la possibilità di adottare uno sguardo (prospettico, politico, artistico) diverso, che realtà apparirebbe ai nostri occhi? Manipolando le memorie visive del mio primo viaggio negli USA ho immaginato una fuga da San Diego a Las Vegas passando per Los Angeles, Beverly Hills, San Francisco, la costa, il deserto. Dal microcosmo di un motel dimora, il viaggio senza meta procede a bordo di un vettore mutante che è auto, navicella spaziale, casco d’astronauta, occhio.

Pupilla che diventa mondo, per vedere il mondo, plasmato dal capitalismo, attraversato dal flusso del capitale, nelle sue forme aberrate.

Il flusso del capitale non ha origine per chi è nato nel suo corso. Inizia laddove ognuno lo incontra e scorre finché non si interrompe. L’incontro, l’immersione nel flusso, è avvenuto in un motel di San Diego abitato da famiglie senza casa, accanto a una di quelle strade in cui il flusso appare soltanto interrotto dai semafori.

Via da San Diego. Los Angeles, San Francisco, la costa come un circo in cui gli animali osservati dagli smartphone preannunciano inascoltati la tragedia imminente. L’oceano è depredato dell’ultimo pesce, trofeo privato di uno scempio già compiuto.

L’occhio diventa ciclone, la ciclicità della crisi passa sempre da una tempesta.

Come tappo che salta, l’assolo di chitarra genera un vortice di acqua, di cielo, di sabbia che tutto risucchia. Ma è anche un segnale radar per ritrovare la rotta, tornare a galla quando il flusso si interrompe. Non è la fine.

La distruzione e la creazione si scindono e poi si confondono. La natura prende vita. Ma il flusso riparte. Il flusso, che si interrompe ma non si rompe, può essere deviato? Lo si può fermare? Lo si può evitare? Un solo pensiero ossessivo per provare a sopravvivere, fuggire dal flusso del capitale. Lontano dove non c’è niente, dove è deserto. Ma il capitale muta la sua forma ogni percorso converge sulla sua via. Il flusso si deforma. Route 66, The Joshua tree, via dalla California, destinazione Las Vegas, nel cuore-roulette dove circolano come globuli i volontari e i condannati all’arruolamento nell’esercito industriale di riserva”.

L’enigma del capitale

A tredici anni dalla pubblicazione di Appunti sonori per una cosmogonia caotica (segnalato da Ondarock fra i migliori album del 2007), il castello delle uova, band post-prog con base a Marsala (TP), pubblica il suo nuovo concept, intitolato L’enigma del capitale.

Nella sua versione digitale, l’album è apparso nel maggio del 2020 sulle principali piattaforme on line. L’edizione fisica, in CD, è stata pubblicata da Seahorse Recordings nel 2021.

Chi siamo/dove (non) siamo

Il castello delle uova si forma nel 2001 come costola dei BraindeaD, storica band della scena progressive rock siciliana.

Siamo qui ma non ci siamo. A Marsala, Trapani, Palermo, Petrosino, Mazara del Vallo, Milano, Calatafimi, Segesta, Scopello, Brescia, Berlino, Roma, New York.

Siamo dove non siamo.

Nel battito dissolto di una porta.

Nel sogno del cambiamento.

Il castello delle uova è uno spazio autonomo e indipendente, in cui i suoni possono prendere corpo diventando solidi e sciogliersi allo stato gassoso. I suoi potenti muri di cinta, le sue torri, i suoi contrafforti ci proteggono (o almeno tentano di proteggerci) dalla barbarie che è dentro di noi e che ci vive dentro, e tuttavia, nonostante la solida presenza di queste difese, il castello delle uova è anche uno spazio aperto in cui entrare e integrarsi, ridefinendo le proprie identità e la corte stessa.

Ma il castello delle uova è anche uno spazio che non c’è.

Appare, riappare; poi, di nuovo, a-sparisce e ri-asparisce.

Se il castello delle uova ri-asparisce oggi, nel 2020, è anche perché, in un momento buio come quello che stiamo attraversando, è necessario riflettere – anche attraverso i suoni – sulle macerie che il neoliberismo ha lasciato; ed è necessario ricordare, scavare nel passato per trovare possibili vie di fuga nel futuro, indagare sui traumi della storia per ricordare che proprio da essi germogliano le utopie e i sogni di rivoluzione.

La musica de il castello delle uova è fatta della luce del tramonto, perché il tramonto è il passaggio da una dimensione all’altra; perché da una luce che si spegne può nascere una nuova alba.

Il castello delle uova è formato da Abele Gallo (batteria), Pietro Li Causi (chitarre), Benny Marano (voce), Ambra Rinaldo (basso), Salvatore Sinatra (tastiere). Membri aggregati del gruppo sono Ninni Arini (voce), Nicolò Ratto (chitarra ritmica dal vivo).

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